Sono passati ormai quasi due mesi da quando l’emergenza Coronavirus ha costretto la chiusura degli istituti di istruzione.
Con l’avvento della “nuova scuola” sono diverse le sfide che docenti e studenti hanno dovuto e dovranno affrontare.
La scelta della piattaforma, in che modo organizzare le lezioni, che materiale fornire agli studenti, come effettuare le verifiche, come mantenere alta l’attenzione.
Insomma, una sfida dopo l’altra che dopo mesi di lockdown sembra aver trovato un equilibrio.
Tra le problematiche riscontrate però, la più importante è stata quella relativa alla sicurezza. La privacy dei contenuti e le incursioni online hanno messo a dura prova la didattica.
Il primo tema emerso nel dibattito pubblico è stato il cosiddetto Bombing, ovvero la partecipazioni a riunioni e lezioni online da parte di “non invitati” con lo scopo di creare caos.
Tra le applicazioni maggiormente colpite troviamo Zoom, app per videoconferenze, che in poco tempo è diventata una delle piattaforme più utilizzate per incontri virtuali di lavoro, scuola ma anche per passare il tempo. Ottima per la quantità di persone che riesce a connettere e per il tempo a disposizione per la chiamata ma fragile sotto il punto di vista della sicurezza. Infatti, in poco tempo gli hacker hanno trovato il modo di aggirare l’ostacolo del codice di accesso, richiesto per partecipare ad una call, per disturbare, insultare o mandare in diretta materiale poco consono. Pronti sono arrivati gli aggiornamenti dell’azienda produttrice ma il danno, soprattutto d’immagine, era fatto.
Sono nati dei veri e propri gruppi dove il tema principale è proprio quello dell’hackeraggio che, riprendendo le parole della ricercatrice del Shorenstein Center della Harvard Kennedy School, Joan Donovan, il Bombing sta diventando, per questi soggetti, una sorta di gioco.
I portavoce di Zoom hanno così deciso di consigliare l’utenza di settare l’account in modo da avere una password di accesso e di permettere la condivisione dello schermo solo all’oratore.
La stessa ricercatrice Joan Donovan, durante un webinar, ha fornito qualche consiglio in più così da evitare future problematiche.
Il Bombing, però, non è l’unico problema riscontrato durante le videolezioni.
Molti sono i docenti e genitori che hanno espresso preoccupazione riguardo il tema della privacy.
Non dimentichiamo infatti che la DaD coinvolge anche scuole di primo grado e che vede molti bambini affacciarsi per la prima volta al mondo dell’online.
Ma non solo. Molti si sono interrogati anche sull’uso che le diverse piattaforme possono fare dei propri dati.
Dal lato delle scuole, fin dal principio di questa emergenza, il Ministero ha fornito delle prime direttive dove precisa il ruolo degli istituti nei confronti delle famiglie. Nello specifico, nel decreto del 17 marzo possiamo leggere che
“le istituzioni scolastiche non devono richiedere il consenso per effettuare il trattamento dei dati personali (già rilasciato al momento dell’iscrizione) connessi allo svolgimento del loro compito istituzionale, quale la didattica, sia pure in modalità “virtuale” e non nell’ambiente fisico della classe.”
Dal lato delle famiglie e degli studenti, invece, il Garante della Privacy invita i singoli istituti a vagliare attentamente la scelta del mezzo da utilizzare per la DaD, tenendo presente i principi della privacy by design e by default, del contesto, delle finalità e delle garanzie relative alla protezione dei dati.
La scelta della piattaforma risulta quindi più difficile da effettuare. Tenere a mente i punti critici è sicuramente un buon punto di partenza per analizzare e, se necessario, riorganizzare la propria didattica.
Come hai affrontato il problema della privacy? Hai casi di bombing che vuoi raccontarci e le soluzioni che hai adottato? Condividi la tua esperienza nella sezione commenti.