Comprendere l'italiano: passato, presente, futuro N. De Blasi
Unità 1 - Lingua italiana in movimento
Introduzione all'italiano
Ogni lingua è una realtà dinamica, in continuo movimento.
Studiare una lingua - nel nostro caso studiare l’italiano - significa anche abituarsi a riconoscere e a descrivere i cambiamenti.
Molto spesso invece tendiamo a pensare che l’italiano debba essere immutabile come consideriamo immutabili le lingue classiche.
I cambiamenti più vistosi sono quelli del lessico, che sono notati anche dai parlanti nell’uso quotidiano. Nella lingua però cambia anche la grammatica.
I cambiamenti della lingua
La lingua italiana ha una lunga storia, che risale direttamente al latino parlato.
Con questa semplice affermazione ci riferiamo a due elementi complementari: la continuità e il cambiamento. Affermiamo infatti che l'italiano è la prosecuzione dell'antica lingua latina.
Nello stesso tempo è implicito che tale continuità si fonda su un cambiamento, perché il latino si è modificato attraverso una serie di innovazioni.
Anche l'italiano cambia continuamente. Di alcune novità i parlanti si accorgono subito: per esempio notiamo facilmente le parole nuove, mentre più lentamente ci rendiamo conto di altri cambiamenti, anche se sono molto rilevanti.
I parlanti in realtà percepiscono poco proprio i cambiamenti più profondi, che si realizzano con maggiore lentezza, mentre si accorgono di più di innovazioni più rapide, come appunto la diffusione di una parola nuova.
Nuove parole e nuovi oggetti
Una parola nuova, diffusa probabilmente dal 2012, è selfie.
Questa parola è strettamente collegata alle nuove tecnologie che permettono di ottenere immagini con autoscatto attraverso telefonini o tablet (e questa è un'altra parola nuova).
Un neologismo ci colpisce subito, soprattutto se all'inizio non conosciamo il suo significato, per cui siamo portati a prestare maggiore attenzione alla novità. Come è capitato di recente per selfie, per tablet o, per restare nello stesso ambito degli oggetti delle nuove tecnologie, per la LIM (lavagna interattiva multimediale), per la chiavetta USB o, molto tempo prima, per computer, tutte queste parole entrano nella nostra vita quotidiana insieme con i nuovi oggetti.
La stessa cosa del resto è accaduta nell'ultimo secolo per il telefono, il giradischi, la radio, il frigorifero, il televisore, la lavatrice, la lavastoviglie, l'automobile e anche per oggetti e parole rapidamente dimenticati come mangiadischi, mangianastri. D'altro canto anche parole già esistenti possono assumere nuovi significati, come capita appunto a chiavetta o pennetta (ora USB).
Automobile e selfie tra maschile e femminile
Più di un secolo fa anche la parola automobile si è diffusa come neologismo. Inizialmente era un aggettivo, poi fu usata come sostantivo, ma con alcune oscillazioni sul genere morfologico (prima maschile, poi femminile).
Nel 1905, nella prima edizione del suo Dizionario moderno, Alfredo Panzini osservava: «Di qual genere è il sost. automobile? Se ne è disputato in Francia e quindi anche in Italia. Il genere maschile tende a prevalere». In poco tempo, però, il quadro è cambiato, perché nell'uso le parole subiscono un progressivo assestamento.
In seguito lo stesso Panzini registrava la nuova situazione e riferiva perfino un aneddoto: «Ieri prevaleva il maschile, oggi il femminile. La Fiat ne richiese d'Annunzio. Rispose: femmina!». Naturalmente le parole non cambiano genere per la decisione di un solo parlante, ma è probabile che d'Annunzio con la sua risposta lapidaria si limitasse a cogliere l'uso corrente, che di fatto determina l'andamento delle lingue.
Anche selfie ha conosciuto una vicenda simile: all’inizio era femminile (una selfie), ma ormai il maschile è di uso generalizzato (un selfie), con il plurale invariabile (i selfie), come appunto accade ai forestierismi più diffusi.
Avvertimenti grammaticali per chi scrive in lingua volgare
Un oggetto nuovo si diffonde rapidamente e con esso anche la nuova parola. Più lente sono altre novità. Consideriamo qui un'innovazione di tipo grammaticale che si è affermata progressivamente nel corso dei secoli, ma che si è davvero generalizzata solo dopo l'Unità.
Si tratta della desinenza dell'imperfetto indicativo. Oggi, per la prima persona dell'imperfetto, tutti diciamo io andavo, io parlavo, io cantavo.
In passato però la situazione era molto più sfumata. Ancora a metà Ottocento le grammatiche prescrivevano per la prima persona dell'imperfetto la desinenza -a.
Così per esempio si leggeva in una grammatica del 1854:
«La prima persona singolare dell'imperfetto si dee finire in a, e non in o: cioè io amava, io leggeva, e non io amavo, io leggevo»
(Monsignor Di Giacomo, autore degli Avvertimenti grammaticali per chi scrive in lingua volgare, Napoli, Stamperia Reale, 1854)
L'imperfetto nella lingua letteraria
L‘antico imperfetto in -a era ancora presente nella letteratura dell'Ottocento. Ecco alcuni versi di A Silvia di Giacomo Leopardi:
Io gli studi leggiadri
talor lasciando e le sudate carte,
ove il tempo mio primo
e di me si spendea la miglior parte,
d'in su i veroni del paterno ostello
porgea gli orecchi al suon della tua voce,
ed alla man veloce
che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
le vie dorate e gli orti,
e quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
quel ch'io sentiva in seno.
Qui, come si vede le forme della terza persona (sottolineate) hanno la stessa desinenza in -a delle forme di prima persona (in grassetto).
L'imperfetto
L'imperfetto in -a era usuale nella lingua di Petrarca, che diventa il modello per i poeti successivi. Ecco i primi versi del primo sonetto petrarchesco:
Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono
di quei sospiri ond'io nudriva 'l core.
Già nel Quattrocento la situazione del fiorentino cambiava: Leon Battista Alberti, in una sua Grammatichetta, come forma della prima persona dell'imperfetto documentava «ERO».
Nei suoi scritti, però, Alberti usava l'imperfetto in -a. Alberti insomma era ben consapevole dell'uso parlato e lo registrava nella sua Grammatichetta, ma scrivendo adottava la forma che da tempo si era stabilizzata nelle scrittura. Quindi già per il Quattrocento abbiamo una testimonianza tempestiva e molto significativa del rapporto dinamico tra lingua dell'uso corrente e lingua scritta, poiché, come si è visto, gli scrittori (secondo un'abitudine che durerà a lungo) si ispiravano alla lingua della tradizione letteraria invece che alla lingua parlata.
Unità 2 - Italiano: le regole e l'uso
Lingua: differenze e indizi del continuo cambiamento
Le differenze tra la lingua che usiamo e le prescrizioni che impariamo attraverso lo studio della grammatica sono in fondo indizi del cambiamento continuo della lingua.
Nella storia dell’italiano è stato di grande rilievo il ruolo di alcuni letterati, Dante, Bembo e Manzoni che sono stati anche teorici della lingua e grandi innovatori, molto attenti, sia pure secondo prospettive diverse, alle differenze dinamiche tra lingua parlata e lingua scritta.
I pronomi nella grammatica e nell’uso
Dai libri di grammatica apprendiamo sequenze di questo tipo: io canto, tu canti, egli canta ecc. Quando parliamo, però, quasi mai usiamo i pronomi egli o ella, ma per la terza persona diciamo lui e lei; anzi, se ci facciamo caso, il pronome molto spesso è sottinteso ed è espresso soltanto per rendere evidente un contrasto, come nella frase: «mentre tu lavori, lui dorme». In italiano in realtà il pronome non è indispensabile perché i verbi hanno desinenze diverse per le diverse persone; perciò, anche in assenza del pronome personale, si capisce se il verbo è di prima, seconda o terza persona; infatti la forma vedi fornisce la stessa informazione grammaticale che sarebbe data da tu vedi. I pronomi in genere, anche nella scrittura, sono necessari solo per sottolineare una differenza, come per esempio in questa frase: «Noi due eravamo insieme in autobus, ma io sono sceso prima di lui». Nella comunicazione reale, insomma, la lingua può presentarsi in una forma diversa da quella descritta nelle grammatiche.
Omissione dei pronomi
Il nostro modo di parlare segue talvolta una strada diversa rispetto a quella indicata dalle grammatiche; le regole grammaticali, che pure riteniamo immutabili e generali, non sempre sono applicate. Capita quindi di notare che non sempre si tratta di regole obbligatorie. Pensiamo a una sequenza come questa: «Ieri sono andato dal libraio; gli ho chiesto un libro di Dante. Mi ha risposto che in quel momento non l'aveva, ma lo avrebbe richiesto all'editore. Mi ha detto che mi telefonerà appena lo riceverà». In questi casi per i verbi ha risposto, aveva e avrebbe richiesto, non è stato necessario esprimere il soggetto in modo esplicito, né attraverso un nome, né attraverso un pronome, perché qualsiasi ascoltatore o lettore è in grado di comprendere che a rispondere e a richiedere il libro è stato il libraio; così come è chiaro che sarà il libraio a telefonare. Queste frasi sono pienamente accettabili e normali, anche se non vi figurano pronomi di terza persona; si può anzi dire che sono accettabili proprio perché mancano i pronomi personali, mentre sarebbe stata inaccettabile una sequenza del tipo «*Egli mi ha risposto che *egli non l’aveva, ma che *egli l’avrebbe richiesto all’editore».
Le variazioni diamèsica, diacrònica e diafàsica
La differenza tra la lingua parlata e la norma grammaticale dipende in gran parte dalla normale variabilità delle lingue. La lingua parlata è in genere diversa dalla lingua scritta. Si parla a questo proposito di variazione diamèsica (cioè la lingua cambia in rapporto al mezzo che si usa). Il modo di parlare e il modo di scrivere cambiano nel tempo, ma le caratteristiche della lingua scritta cambiano più lentamente; perciò la tradizione scritta, in particolare quella della lingua letteraria, rappresenta un punto di riferimento tendenzialmente più stabile nel tempo.
La variazione che si realizza nel tempo è detta diacrònica. Chi conosce la lingua della tradizione letteraria ed è in grado di tenere conto della norma grammaticale si trova a volte in una situazione di incertezza nell’osservare le differenze tra la norma e l’uso corrente. Quando si parla in modo spontaneo e informale tale incertezza non è molto avvertita, ma per chi vuole comunicare in modo formale, in specie per iscritto, è opportuno avere un’idea di come si è svolta la storia della nostra lingua anche per avere la possibilità di compiere le opportune scelte di stile in rapporto alla variabilità diafàsica (che riguarda il grado di formalità).
Pietro Bembo e il modello letterario del passato
Nella storia della lingua italiana un ruolo molto rilevante è stato svolto da Pietro Bembo (Venezia 1470 - Roma 1547), che nelle Prose della volgar lingua (1525) propose ai letterati italiani il modello della lingua di Francesco Petrarca, per la poesia, e di Giovanni Boccaccio, per la prosa.
Con la sua opera, Bembo fissava le caratteristiche di una lingua volgare adatta a durare nel tempo: le opere di Petrarca e Boccaccio rappresentavano un modello adeguato perché, essendo state scritte nel Trecento, già avevano superato la prova del tempo e potevano essere considerate opere classiche.
In questo modo, così com'era accaduto per la lingua latina, anche per la lingua italiana veniva affermato un principio di autorità.
Sul modello di Petrarca e di Boccaccio erano indicate regole esplicite che furono poi accolte e diffuse dalle opere grammaticali successive.
L’articolo tra letteratura e uso
La lingua delle grammatiche e della letteratura è stata per secoli saldamente agganciata alla scrittura trecentesca, anche se nel frattempo la lingua parlata cambiava. I letterati italiani, seguendo Bembo, adottarono per esempio l’articolo determinativo il davanti a consonante e lo davanti a vocale e a s- seguita da altra consonante (con l'eccezione di sequenze come per lo e messer lo).
L'uso fiorentino trecentesco (il cosiddetto fiorentino aureo) diventava quindi la norma che i letterati e le grammatiche avrebbero poi seguito, ma nel frattempo nella lingua parlata fiorentina si era diffuso l'articolo el : infatti gli esempi di una grammatica scritta nel Quattrocento da Leon Battista Alberti dimostrano che nel fiorentino di quel tempo si diceva el cielo, el quarto. Sul modello della lingua degli autori del Trecento fu poi realizzato il Vocabolario degli Accademici della Crusca, pubblicato nel 1612.
La lingua scritta come strumento comune e durevole
Per quale motivo Bembo nel Cinquecento e gli Accademici della Crusca nel Seicento proponevano ai letterati di scrivere nella lingua di autori del Trecento? La cosa oggi sembra strana, in un'epoca come la nostra, che tende ad appiattirsi sul presente. Per Bembo però l’orientamento verso il modello della lingua scritta del passato non rispondeva a una volontà antiquaria e pedantesca, ma alla necessità di fornire a tutti i letterati italiani uno strumento comune.
Il dialogo culturale trovava quindi nella lingua del Trecento un terreno comune e stabile per la reciproca comprensione e anche per il progresso delle idee, poiché naturalmente attraverso l'uso di parole antiche erano formulati anche pensieri nuovi e moderni, come nel tempo dimostra, solo per fare un esempio, l'opera di Giacomo Leopardi.
Dal modello della scrittura al parlato: Manzoni
Una svolta decisiva nella storia dell'italiano letterario fu favorita da Alessandro Manzoni (1785-1873) che, nel lungo lavoro dei Promessi sposi, scelse di seguire come punto di riferimento non più la lingua della tradizione scritta, ma l'uso della lingua parlata. Nel suo romanzo Manzoni rende la variabilità di una lingua viva e intera, adatta alle diverse situazioni e alla mobilità dei dialoghi dei personaggi e alle riflessioni dell’autore, il quale sin dalle prime pagine mostra di rifiutare la lingua libresca e antiquata del manoscritto secentesco da cui finge di copiare.
Proprio Manzoni ha contribuito in modo decisivo alla diffusione del pronome lui anche nella scrittura letteraria e all'imperfetto del tipo io cantavo, ma soprattutto ha dato un nuovo orientamento alla cultura linguistica italiana: grazie a lui i letterati e gli uomini di cultura italiani hanno cominciato a osservare in modo sempre più attento la lingua dell'uso nel suo rapporto dinamico con la lingua letteraria.
Lingua unitaria come esigenza delle 'periferie'
La riflessione linguistica di Dante (nel primo Trecento), Bembo (nel Cinquecento) e Manzoni (nell’Ottocento) permette di scandire diverse fasi della storia dell’italiano. Dante intuisce le potenzialità del volgare, lingua nuova rispetto al latino. Bembo fissa regole destinate a durare nel tempo. Manzoni conferisce importanza alla lingua parlata. Le opere di Dante, Bembo e Manzoni dimostrano inoltre che la tendenza all’unificazione dell’italiano prende avvio diversi secoli prima dell’unificazione politica, in assenza di una egemonia politica. Il modello linguistico che si afferma nel tempo è quello fiorentino, ma Bembo era veneziano e Manzoni era milanese.
Lo stesso Dante (che nel de vulgari eloquentia è piuttosto severo verso il fiorentino) svolge la sua riflessione linguistica mentre si trova in esilio lontano da Firenze. Si può dire perciò che l’esigenza unitaria non è “imposta” da un centro ma è avvertita in primo luogo nelle posizioni, per così dire, periferiche.
Materiali di supporto alla lezione
Alessandro Manzoni, Enciclopedia dell'Italiano, Treccani
Alfredo Panzini, Dizionario moderno, Milano, Hoepli, 1905 ed edizioni successive
Dante, Enciclopedia dell'Italiano, Treccani
Francesco Bruni, Una lingua senza impero, in L’italiano fuori d’Italia, Firenze, Cesati, 2013
Giovanni Nencioni, La lingua dei Promessi sposi, Bologna, Il Mulino, 2012
Lorenzo Renzi, Come cambia la lingua. L’italiano in movimento, Bologna, Il mulino, 2012.
Leon Battista Alberti, Gramatichetta e altri scritti sul volgare, a cura di Giuseppe Patota, Roma, Salerno Editrice, 1996
Pietro Bembo, Enciclopedia dell'Italiano, Treccani
Risorse della lezione
- Le innovazioni dell'italiano
- La continuità dell'italiano
- Geografia dell'italiano
- Le origini dell'italiano
- Nuovi spazi per l’italiano
- L'italiano nuova lingua di cultura
- Italiano e dialetti
- Italiano lingua internazionale
- Italiano per lo spettacolo
- Italiano lingua ufficiale
- Italiano e politica
- Lingua e comunicazione
- L'italiano è una lingua
- Il testo
- Linguistica del testo
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